Stanley Stellar con le sue fotografie ha documentato la sensualità, la giocosità, l’erotismo e la bellezza della vita queer a Manhattan. Le sue fotografie formano un enorme archivio di storia queer iniziato in un periodo in cui la maggior parte delle persone eterosessuali non sapeva nulla o ne negava l’esistenza.
Stanley Stellar con la sua macchina fotografica è stato testimone del risveglio sessuale omosessuale che aveva luogo sui moli del West Side Pier di Manhattan durante gli anni ’70 e della crescente consapevolezza dell’orgoglio gay, che si manifestò in Christopher Street e durante i primi gay pride.
Per la maggior parte del 20° secolo, la vita queer in America è stata considerata un crimine punibile dalla legge e una patologia. Le fotografie di Stanley Stellar invece contrastano questi modi di vedere perché documentano la vita gay degli anni ’70: libera, divertente e senza inibizioni. A volte rimpiangiamo di non averla potuta provare. Quello che emerge è un obiettività concreta e un’eleganza formale che Stanley Stellar trasmette sia nelle foto scattate per strada che in quelle di nudo. Mostra ciò che è stato tradizionalmente nascosto, ignorato e visivamente bandito dagli uomini.
Il West Village di Manhattan era fiorente durante i primi anni del Movimento di liberazione gay, e molti dei suoi protagonisti sono presenti nelle fotografie di Stanley Stellar, che ha immortalato esattamente quello che era, che amava e che viveva. Andando contro quello che la società vietava: da uomo potevi guardare una donna quanto volevi, ma non altri uomini, cosa che invece lui fa: guardarli a lungo fino a creare un grandissimo archivio storico ed omerotico che fa parte della cultura di tutti noi gay.
Stanley Stellar continua ancora a mostrare alle nuove generazioni quei momenti LGBTQ+ di quella comunità che era, è e sarà sempre il ritmo pulsante dei cambiamenti della città. Intervistare Stanley Stellar è stato un pò come intervistare parte della nostra storia gay quella fatta da persone che prima di noi hanno manifestato, lottando per la loro libertà e per la nostra.
Possiedi una miniera d’oro di immagini, sei la storia per me. Hai documentato tutte quegli aspetti che ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi nella comunità gay. Cosa pensi quando vedi tutte le immagini che hai scattato?
Penso alla mia vita. L’individualità della mia esperienza. La mia consapevolezza di quanto mi sentissi fortunato di essere nato gay proprio qui a New York, in quel momento di liberazione, accettazione e libertà gay. Sono riuscito a vivere la mia vita come artista gay, facendo quello che avevo desiderio di fare per più di quattro decenni. Sono orgoglioso della qualità del mio lavoro e la nostra umanità che in esso traspare. Ho cartelle digitali sul mio iMac di quelle che penso siano le mie fotografie più significative, tutte in ordine cronologico. Anno dopo anno a partire dal 1976 fino ad oggi. So quante incredibili fotografie veramente originali ho realizzato, quando guardo la griglia di tutte quelle cartelle blu piene delle mie fotografie. In tutti questi anni, penso di aver fatto qualcosa di significativo e d’importante.
Quando hai capito di essere gay?
Fin dalla prima infanzia. L’ho sempre saputo.
Come era vivere a New York in quei giorni, sto parlando del Pier, dei Pride e dello Stonewall. Immagino che all’epoca ci fosse un atteggiamento di libero arbitrio.
Alla fine degli anni ’60 ho iniziato a rendermi conto che stavo vivendo in un tempo completamente nuovo nella storia della comunità gay. Un tempo che non era mai esistito prima nella storia queer. Mi sentivo come se la stessimo scrivendo quella storia che mi permettesse di vivere la mia vita senza la paura di essere liberamente me stesso. La cultura e la società eterosessuali qui a New York negli anni ’50 tolleravano a malapena la nostra esistenza.
In realtà non volevano vederci, ascoltarci o doverci riconoscere come esseri umani.
Gli uomini gay venivano costantemente presi in giro, derisi, disprezzati, minacciati e puniti per quello che erano. Siamo stati considerati illegali. Avremmo dovuto nasconderci permanentemente.
Poi vennero gli anni ’60 dello Swing dei Beatles, Hippies, Peace & Love, uomini con pantaloni di velluto stretti, capelli lunghi e la disco. È stata un’esplosione di libertà personale e di divertimento per molti fantastici giovani.
Parlando della tua fotografia, hai mai sentito il peso della censura?
Sì, naturalmente. L’ho sentito come una punizione. Nel corso degli anni il giudizio dei media e il controllo su di noi e sulla nostra visibilità creativa mi hanno fatto sentire mi sono come l’elefante nella stanza.
Ora è 2021 e quando accedo al mio Instagram, vengo regolarmente accolto da loro che mi fanno sapere che alcune mie fotografie, che sono state postate lì da anni e hanno ottenuto centinaia di like e cuori sono invece appena state rimosse a causa della violazione dei loro standard comunitari.Ti abbiamo rimosso! Tolto alla vista. Questo è quanto!
Hai documentato Christopher Street e Greenwich Avenue, nel West Village di Manhattans, dove si svolgeva tutta la scena gay in quel momento. Com’era essere un uomo gay negli anni ’70?
Emozionante, fresco, liberatorio. Finalmente abbiamo avuto un posto stabilito qui a New York per uscire, un quartiere dove poter andare a vederci, divertirci e incontrarci, quando ci sentivamo soli o arrapati, vista la presenza e il contatto fisico con altri uomini gay. Prima di allora, non c’era modo per incontrarci. Altro che riunioni clandestine nei parchi pubblici, a tarda notte al buio. Quando finalmente ho scoperto le strade popolate da uomini queer allo scoperto nel West Village di New York, è diventata immediatamente la mia destinazione. Un posto in cui poter andare oltre che guardare la TV nel soggiorno dei miei genitori a Brooklyn.
Quando frequentavo la scuola d’arte andavo regolarmente in un piccolo ristorante del West Village all’angolo tra Greenwich Ave e W.10th Street a New York chiamato TOR. Mi piaceva sedermi a un tavolo vicino alla finestra, nel bagliore dell’insegna al neon rosa TOR. Ho sempre ordinato lo stesso vitello alla parmigiana e una birra. Cenavo lì mentre i gay camminavano davanti alla finestra del ristorante tutta la sera. Guardando fuori, guardando dentro.
Questo è quello che abbiamo fatto, abbiamo girato intorno agli stessi isolati per ore ogni notte alla ricerca di qualcuno. Gruppi di poliziotti di pattuglia a piedi ci hanno tenuti in movimento. Facendoci sapere che stavamo “bighellonando” e potevamo essere portati al 6° distretto se ci fossimo fermati, appoggiati ad un’auto parcheggiata, o seduti sui gradini di un edificio di Christopher Street.
Ricordi la prima volta che sei entrato nell’appartamento di qualcuno dopo uno sguardo seducente per strada?
Certamente. Un uomo che avevo appena visto esibirsi in uno show televisivo la sera prima mi si è avvicinato mentre con la mia classe alla Parsons stavamo disegnando gli animali allo zoo di Central Park. Mi ha dato il suo numero di telefono su un pezzetto di carta. L’ho chiamato e una sera ci siamo incontrati per strada nel West Village. Abbiamo parlato, mentre camminavamo verso uno dei tanti appartamenti di cui aveva le chiavi, giù alla fine di Christopher Street.
Il tuo archivio è così grande, hai qualche foto preferita? Se sì perché?
Sì, è una foto a colori che ho scattato nel 1976 in Canal Street a New York. Si chiama “I Got Birds Too”. Ho fermato due ragazzi etero e ho chiesto a quello coi capelli rossi di farmi fotografare il suo braccio tatuato. L’ho fatto con la mia piccola fotocamera usa e getta Kodak. Mentre me ne andavo, il ragazzo ha detto “Ho anche gli uccelli!” Sollevò la maglietta sugli addominali definiti per mostrare con orgoglio i tatuaggi di due rondini che volavano sopra i suoi capezzoli rosa da duro ragazzo etero.
Ho realizzato una cartolina postale auto promozionale con quell’immagine. Ero un collezionista di cartoline. A quel tempo i negozi di cartoline e biglietti d’auguri stavano avendo successo. Sapevo che a nella storia delle cartoline non c’era mai stata una cartolina con una piccante fotografia di un tatuaggio omoerotico. Ha venduto nei negozi di tutto il mondo e mi sono fatto conoscere.
C’è qualche differenza quando fermi le persone durante i gay pride di oggi rispetto a quelli precedenti?
Quando ho scattato foto ai primi gay pride, era solo per il Gay Pride Day, non la settimana o il mese! I primi NYC Prides erano limitati a soli 4 o 5 isolati di Christopher Street.
Con il mio gruppo di amici l’abbiamo vissuta come una grande festa nella strada gay, dove potevamo guardare tutti, fuori, sotto il sole. Era la prima volta che qualcuno di noi sperimentava qualcosa di simile a una vacanza gay.
Rispetto ad oggi, era molto discreto, per lo più uomini gay che vedevo fuori la sera. È sempre stato abbastanza facile per me andare in giro e parlare con le persone che visivamente m’interessano.
Sai subito quando hai scattato un buon ritratto? C’è una frazione di secondo quando premi il pulsante e sai di aver fatto lo scatto giusto?
Sì, certamente. Inquadra automaticamente ciò che mi interessa. È istinto. Non è un processo intellettuale. So di aver fatto lo scatto, perché lo vedo e questo mi dà una piccola scossa interiore di endorfine. Mi fa sentire felice e lo so.
Il tuo occhio e il tuo talento nel creare immagini omoerotiche sono innegabili. Come crei una tale intimità? Sembra che non ci sia alcun muro tra te e chi stai fotografando.
È esattamente quello che voglio vedere. È il momento umano, intimo che mi regala davvero qualcosa dello stato emotivo interiore del soggetto. La nostra umanità condivisa.
Con app per telefoni cellulari come Instagram o Grindr chiunque può condividere belle foto sexy di se stesso. Che cosa ne pensi?
Le mie fotografie riguardano quel momento in cui stabiliamo una connessione silenziosa l’uno con l’altro. C’è una scintilla lì.
Tutti nel mondo possono vedersi in privato e controllare come appaiono nei selfie, ma quella consapevolezza di sé è solo un traguardo falsamente controllato. È solo fare smorfie con se stessi, è solo questo.
A volte mi sono chiesto perché per le persone il sesso è sempre così importante?
Perché è soprattutto ciò che abbiamo in comune. Dopo il sesso, non così tanto.
Siamo tutti diversi. Siamo tutti uguali.
Vivi nella tua città, New York, da sempre. Quanto pensi sia cambiata la città?
Nel 2020 il Covid ha cambiato tutto e tutti, così tanti piccoli luoghi che facevano parte del tessuto condiviso del piacere a sono chiusi per sempre. Così come quei grandi spazi in cui siamo andati a goderci la vita fuori dai nostri appartamenti, sono spariti. In questo momento è estremamente triste.
Finalmente il tuo governo è cambiato con queste nuove elezioni, cosa ne pensi?
Penso… Grazie a Dio! Sembra però che tutti abbiamo disturbi da stress post-traumatico.
Conoscevi Marsha P. Johnson, cosa puoi dirmi di lei?
Marsha P. Johnson era come una statua della libertà vivente per i newyorkesi queer. Non è stato facile per Marsha essere Marsha. New York era un posto freddo e duro in cui sopravvivere per le anime queer. Ha irradiato: forza, speranza, gentilezza.
Marsha ha irradiato per noi.
Puoi dirmi qualcosa sul documentario gay Here For This Reason?
È il breve documentario realizzato da Eric Leven su di me, presentato in anteprima al Tribeca Film Festival 2019. È un bel film che mi permette di essere sincero, alcune delle mie fotografie sembrano potenti e intime viste sul grande schermo. L’anima di alcune delle mie immagini, il bel montaggio del film e la mia storia offre agli spettatori una visione della mia esperienza come è essere e vivere da fotografo gay, decennio dopo decennio qui a New York, dagli anni ’70 ad oggi.
On the cover: Stanley Stellar, Rick, 1981.
All images © Stanley Stellar. Courtesy of the Artist.